Lo stalking
S. Cogliani – coordinatrice area giuridica di Vite Senza Paura onlus
In Italia, il reato di stalking (dall’inglese to stalk, letteralmente «fare la posta») è entrato a far parte dell’ordinamento penale italiano mediante il decreto-legge n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2009, che ha introdotto all’articolo 612-bis del codice penale, il reato di «atti persecutori», il quale punisce chiunque «con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita».
Anche se la casistica in astratto enucleabile mostra che spesso vi è un rapporto di natura affettiva, sentimentale o comunque qualificato che lega il soggetto agente alla vittima, per l’articolo 612-bis del codice penale lo stalking è un reato comune che può essere commesso da chiunque, anche da chi, dunque, non abbia alcun legame di sorta con la vittima, senza presupporre l’esistenza di interrelazioni soggettive specifiche (Cassazione, sentenza n. 24575 del 2012).
Ciò costituisce, peraltro, il discrimine con il più grave reato di maltrattamenti in famiglia (a meno che non intervenga la cd. «clausola di riserva» prevista dall’articolo 612-bis, primo comma, del codice penale, «salvo che il fatto costituisca più grave reato», che renderebbe applicabile il reato di cui all’articolo 572 del codice penale), reato proprio che può essere commesso soltanto da chi ricopra un ruolo nel contesto familiare o una posizione di autorità o peculiare affidamento nelle aggregazioni comunitarie assimilate alla famiglia dall’articolo 572 del codice penale (come organismi di educazione, istruzione, cura, eccetera) (Cassazione, sentenza n. 24575 del 2012).
Secondo l’articolo 612-bis, primo comma, del codice penale (per come modificato dall’articolo 9, comma 3, della legge 19 luglio 2019, n. 69, che ha elevato il massimo edittale), il reato è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi, salvo che il fatto non costituisca più grave reato.
Al secondo e al terzo comma della disposizione, sono previste due circostanze aggravanti.
Al secondo comma, il Legislatore, con il decreto-legge n. 93 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2013 (cd. “legge sul femminicidio”), ha esteso l’aggravante prima circoscritta alle condotte moleste realizzate al di fuori del contesto familiare, agli atti persecutori commessi dal coniuge in costanza di matrimonio o anche separato e divorziato, ovvero da persona attualmente o in passato legata da relazione affettiva alla vittima o, ancora, commessi attraverso strumenti informatici e telematici.
In tali casi la pena di cui al primo comma sarà aumentata fino a un terzo.
L’incremento della pena arriva, invece, fino alla metà se il reato di atti persecutori è stato commesso a danno dei soggetti più deboli (ovvero minori d’età, donne in stato di gravidanza o persone con disabilità di cui all’articolo 3 della legge n. 104 del 1992) o, ancora, se i fatti sono commessi con l’uso di armi o da persona travisata, in ragione della particolare pericolosità delle modalità per l’incolumità della vittima e della loro idoneità ad accrescere l’effetto intimidatorio delle condotte sulla stessa.
Attualmente, con riferimento al regime di procedibilità, il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per proporre querela è di sei mesi (corrispondente a quello più elevato previsto per i reati di violenza sessuale) e inizia a decorrere dalla consumazione del reato, che coincide con l’evento di danno consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante stato di ansia o di paura, ovvero con l’evento di pericolo consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto (Cassazione, sentenza n. 17082 del 2015). La remissione può essere soltanto processuale. In ogni caso, la querela è irrevocabile se il fatto è commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui al secondo comma dell’articolo 612-bis del codice penale (minacce gravi commesse con armi o scritti anonimi, da persone travisate o da più persone riunite, ecc.).
Il reato diventa procedibile d’ufficio nelle ipotesi delle aggravanti di cui al terzo comma e in particolare nei confronti di un minore o di persona con disabilità ex articolo 3 della legge n. 104 del 1992, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si procede d’ufficio.
È del tutto evidente che la sanzione penale non è da sola sufficiente per garantire alle vittime del reato un’adeguata forma di protezione, in special modo in quelle situazioni nelle quali gli atti persecutori o violenti sono in atto e la persona offesa non ha ancora proceduto a denunziare formalmente il fatto.
È altresì evidente che il particolare allarme sociale che desta il fenomeno della persecuzione, come definito dall’art. 612-bis e la deriva drammatica in atti di violenza gravissimi da parte dei persecutori, nota a tutti dai fatti di cronaca.
L’Associazione Vite senza paura onlus e la Fondazione Artemisia, ben consapevoli che la soluzione all’inquietante incremento delle fattispecie criminose di violenza di genere non può che passare da una profonda trasformazione della società, dalla creazione di una rete di protezione diffusa e dall’affermazione di una cultura del rispetto, profondendo da anni il proprio impegno nel formulare proposte normative di maggior efficacia.
Con soddisfazione le nostre proposte, dapprima recepite nel disegno di legge “Disposizioni per il contrasto della violenza di genere” del 2023 (già in parte nell’atto camera 2696 del 2020), hanno portato – tra l’altro - all’incremento dei casi di procedibilità d’ufficio con la legge 24 novembre 2023 n. 168 e, da ultimo, all’approvazione da parte del Consiglio dei ministri il 7 marzo 2025 dello schema di disegno di legge recante "Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime", che finalmente prevede specificamente il femminicidio, quale delitto commesso da chiunque provochi la morte di una donna per motivi di discriminazione, odio di genere o per ostacolare l’esercizio dei suoi diritti e l’espressione della sua personalità.
Si tratta di due novità molto importanti in termini, da un lato di tutela delle vittime e, dall’altro, di inasprimento delle pene.
Infatti, quanto alla procedibilità per il reato stalking, si è avuto più e più volte modo di sottolineare la contraddittorietà della previsione della querela di parte a carico della vittima del delitto con le caratteristiche proprie della condotta persecutoria tale da creare un vero stato di “subordinazione” fisica e psichica della vittima. Si è, dunque, fatto un passo avanti per lo meno per le ipotesi di reiterazione ed intervenuto ammonimento da parte del Questore.
Con l’introduzione, poi, della specifica fattispecie del femminicidio, con la previsione di misure di prevenzione e protezione per le potenziali vittime nonché l’inasprimento delle pene, come l’ergastolo, per i colpevoli di questo tipo specifico di reato, l’Italia compie un passo significativo nel colmare le lacune normative evidenziate in passato; come nel tragico caso di Elisa Pomarelli, dove l’assenza di una relazione riconosciuta con l’aggressore impedì l’applicazione delle aggravanti previste dalla legge sul femminicidio del 2013.
La nostra proposta di inserire l’omicidio di genere come fattispecie autonoma, presentata ai senatori Gasparri e Versace, ha contribuito a sensibilizzare le istituzioni sulla necessità di un intervento legislativo mirato. L’approvazione di questo disegno di legge rappresenta un allineamento concreto agli obblighi derivanti dalla Convenzione di Istanbul e dalla CEDAW, convenzioni internazionali che richiedono agli Stati membri di adottare misure efficaci per prevenire e contrastare la violenza contro le donne. È un segnale forte che riconosce la specificità del femminicidio come crimine basato sul genere e sottolinea l’impegno delle istituzioni italiane nel proteggere i diritti fondamentali delle donne.